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L'uomo in bici

Uno dei nostri genitori ha scritto questo racconto e ci ha dato il permesso di pubblicarlo e condividerlo con voi. Ci dà uno splendido quadro dell’importanza della comunicazione “a banda larga” e della creazione di significato tra persone. Grazie a Penny Ray per aver condiviso questo con noi e per averci permesso di condividerlo con altri. Ero ad un incrocio trafficato all’ora di punta ed ero la prima auto in fila ad un semaforo rosso, nela corsia per girare a sinistra. Questo incrocio è sempre impossibile, con auto che girano a destra con il rosso da due differenti punti dell’incrocio. E i guidatori ignorano le luci rosse e
cercano di spingere due o tre auto oltre il rosso ogni volta.
Un guidatore che deve girare a sinistra non può accelerare immediatamente quando arriva il verde del semaforo. L’applicazione rigida delle regole (la regola è via con il verde, stop con il rosso) qui non va bene, perché altri guidatori ignorano la regola e passano anche con il rosso, rovinando la mia opportunità di “via col verde”. Devo sempre cercare di capire le intenzioni degli altri guidatori dalla loro velocità quando capisco che il loro semaforo sta diventando
arancione.
In questa giornata all’incrocio, la mia attesa per il verde a sinistra è complicata da qualcosa di inaspettato. Un giovane uomo su una bicicletta si è avvicinato dal marciapiede alla mia destra e le ruote della bici indicavano che voleva attraversare la strada proprio di fronte a me.
L’ho osservato mentre guardava in tutte le direzioni, tutta la strada per vedere quanto lunga fosse la coda che doveva girare verso dove voleva andare lui. Ha guardato la fila di macchine che girava a destra proprio di fronte a lui. Il pulsante per il verde non funziona quando lo preme. Ha di nuovo controllato la situazione in tutte le direzioni, ha visto una possibile
opportunità, e ha messo un piede su un pedale, chinandosi in avanti sulla sua sella. Sapevo che si stava preparando a passare nonostante il segnale di stop per i pedoni. Alla fine ha guardato me; per un momento c’è stato contatto oculare. Sapeva che l’avevo visto. Questo era importante, perché era in gioco la sua sicurezza. Non voleva che io girassi a
sinistra con il mio verde se tentava di attraversare la strada di fronte a me nello stesso momento. In quel breve momento, quando i nostri occhi si sono incontrati, abbiamo condiviso un’esperienza. Lui aveva bisogno di sapere che lo avevo visto, aveva bisogno di sapere che io avevo capito il suo intento comunicativo di attraversare la strada, perché quando i nostri occhi si sono incontrati, ho ammesso che sapevo che avrebbe potuto cercare di attraversare davanti a me senza tenere in considerazione del segnale di “stop” per i pedoni. Guardandolo in silenzio dalla mia auto, ho “letto” tutti i tipi di intento comunicativo nel linguaggio del corpo di questo giovane uomo. Non abbiamo avuto una conversazione con le parole, ma vedevo chiaramente un significato nei suoi movimenti; vedevo chiaramente le sue intenzioni, e lui vedeva le mie: il linguaggio del suo corpo mi diceva che sapeva che l’incrocio era pericolosamente trafficato; che lui avrebbe cercato di attraversare di fronte a me; e che lui aveva bisogno di sapere che l’avevo visto. Sapeva che volevo girare a sinistra quando avrei
visto il verde. (Cosa interessante, i miei due minuti sono trascorsi dividendo l’attenzione tra il giovane uomo e i semafori. Non ho pensato coscientemente all’esperienza che abbiamo condiviso fino a che non sono ritornata a casa e mi sono seduta per scrivere. Non ho condificato nella mia memoria il colore della sua bicicletta o dei suoi vestiti. I nostri bambini nello spettro autistico hanno difficoltà sia nello spostare l’attenzione, che è anche una parte di comunicazione non verbale e scambio di esperienza, e tendono anche a enfatizzare eccessivamente elementi importanti della comunicazione.) Infine, il traffico non si è mai fermato abbastanza da permettere al giovane in bici di attraversare la strada mentre ero lì, e io ho girato a sinistra e sono andata dove dovevo. Tanto scambio di esperienze, e di creazione di significati è avvenuta in un paio di minuti. E poi io e lui ci siamo spostati per trovare nuovi significati da creare, nuove situazioni di cui fare esperienza e da vivere in modi dinamici. Prima dell’RDI®, abbiamo insegnato ai nostri bambini che la comunicazione significa parlare: parole, conversazioni, lunghezza delle frasi, richieste, etichette. Fino all’RDI®, non avevo mai pensato alla comunicazione come ad uno scambio di emozioni o alla creazione di significati. Uno dei deficit chiave dell'autismo è la condivisione delle esperienze. Non ho mai pensato a quanta condivisione di esperienze facciamo non verbalmente, che avviene mentre non ci pensiamo coscientemente mentre la elaboriamo. Ma ora che ho una bambina con autismo e sto imparando lo sviluppo relazionale, presto attenzione ad aspetti della comunicazione che prima davo per scontati. E in nessun altro posto questa nuova coscienza viene così messa in evidenza come quando sono al volante e scambio esperienze con altri conducenti, senza parlare. Ripenso a quando abbiamo iniziato l'intervento prima che lei avesse due anni, e pensiamo “A cosa stavamo pensando?”. Quando abbiamo iniziato l'intervento a casa con la nostra bambina, uno dei primi passi è stato “Guardami”. E poi facevamo una di queste due strane cose: la aiutavamo a fare un'imitazione grosso motoria (“Fai questo!”) o le davamo un campo visuale di tre risposte, gli ponevamo una domanda e, per tenere i dati “puliti”, ci rifiutavamo di guardare la risposta corretta con le nostre facce, insegnandole a) che la comunicazione significa guardare e b) che le facce umane non condividono informazioni. Quanto dobbiamo aver confuso la mia bambina. Qual era il senso di insegnare “Guardami”?
Penso forse stavamo scoraggiando il guardarmi in situazioni dove la nostra bambina poteva in realtà far pratica di riferimento (referencing) per intenti comunicativi, per ottenere informazioni? Guardami; poi non guardarmi! Messaggio mixato! Se le interazioni non verbali avanti e indietro sono una base per il dialogo e la conversazione, allora “Guardami” + “Fai
questo” sono una base per l'ecolalia? Le abbiamo dato parole, frasi, periodi, abilità su abilità, senza darle un briciolo di
comunicazione al di fuori del canale del linguaggio. Le abbiamo detto tante volte “Come sei brava che mi guardi!” come se il contatto oculare e “guardare” siano una fine e, di nuovo, abbiamo rinforzato il fatto che la comunicazione non è condivisione di emozioni, non è creazione di significati, non è riconoscere errori e rotture e fare riparazioni al riguardo. Non le abbiamo mostrato che c'è significato e comunicazione nella direzione in cui la persona guarda mentre parla, che c'è un significato da leggere negli occhi, visi, mani, gesti, volume e tono di voce degli altri. Ci chiedevamo perchè nostra figlia fosse così ecolalica; ci chiedevamo perchè ricordasse pezzi di informzioni che erano così tanto differenti dal resto di noi, come il colore di un singolo oggetto che avevamo visto invece di una memoria più allargata che si focalizzasse sul divertimento dell'esperienza che avevamo condiviso insieme. Potevamo averle insegnato a comunicare e codificare esperienze nel modo che ci stava dimostrando? E in questo caso, potevamo “rifare” tutto con lei in quelle aree e in quelle dei deficit chiave? La risposta è un
eccitante SI'! Ora so che una parte precoce dello sviluppo sociale di un bambino piccolo neurotipico è fare pratica di come comportarsi in caso di incertezza, cioè guardare i visi di mamma e papà per avere informazioni, idee, segnali, condivisione di esperienze, costruzione di significati, che portano ad una partecipazione attiva nelle interazioni a livello non verbale. Significa
riconoscere gli errori e le rotture e fare riparazioni. Parte del lavoro mentale consiste nel comprendere la prospettiva di un'altra persona in base a dove guarda quella persona e alle sue occhiate, in base a ciò che fa; significa vedere lo sguardo tranquillo che significa “Ti amo” o un lieve movimento di esasperazione con i tuoi occhi che mi fa capire che secondo te la canzone che stanno cantando al pianobar mentre ceniamo è, beh, orribile. Un'altra parte del lavoro mentale è capire la mia metà di quella interazione. Il Dipartimento dell'Istruzione del Michigan definisce in questo modo nella Dichiarazione sulle
arti visive e linguistiche inglesi, dallo Standard 7. Abilità ed elaborazioni: La comunicazione efficace dipende dalla nostra abilità di riconoscere quando tentatiiv di costruire e incanalare significato vanno bene e quando si interrompono. Dobbiamo monitorare, riflettere e regolare i nostri processi di comunicazione in base a chiarezza, correttezza, scopo e pubblico. Abbiamo bisogno di strategie multiple per costruire e incanalare significato in testi scritti, parlati o visuali. Lo sviluppo della nostra letteratura dipende da valutazioni continue e regolate su noi stessi. Il Dott. Gutstein definisce la comunicazione “... il desiderio di determinare la relazione tra ciò che è nella vostra mente e ciò che è nella mia mente ...”. Prima dell'RDI®, pensavo che la comunicazione fosse soprattutto parole dette e regole di grammatica, sintassi e regole sociali.
Ho capito a quell'incrocio che uso tanta costruzione di significato, condivisione di esperienze che non ha niente a che fare con il linguaggio, le parole, la lunghezza della frase, le abilità sociale, e tutto nello spazio di un minuto o due. I tanti canali di comunicazione mi servono per questi momenti dinamici e poi vengono dimenticati quando sono di fronte ad un nuovo
momento di valutazione, una nuova esperienza da condividere. Noi vogliamo questo per i nostri bambini. Un approccio relazionale ha fatto una differenza incredibile, e mi ha dato nuova speranza. Amo I momenti in cui cerco qualcosa nell'armadietto in cucina e mia figlia entra e mi chiede “Mamma, cosa stai cercando?” o quanto mi sto preparando per andare da qualche parte e lei mi chiede “Mamma, dove vai?”. Vede un intento nelle mie azioni, vede la mia prospettiva! Quando lo sguardo di quel ragazzo sulla bicicletta hanno incontrato i miei, non eravamo in un'abilità sociale e non stavamo semplicemente facendo contatto oculare perchè bisogna fare contatto oculare. Una regola rigida di un corso di abilità sociali porterebbe a questa situazoine. Non c'è stato un momento “Guardami!”. No, noi abbiamo “danzato” brevemente; ci siamo
scambiati importanti significati in modo non verbale, con gesti ed espressioni facciali e linguaggio del corpo, che, in quel momento, erano fondamentali per la sua sicurezza. Voglio che tutti i miei bambini possano “danzare” in questa maniera.

http://horizonsdrc.blogspot.com/2007/02/man-on-bicycle.html

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