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Le ragioni sociali del linguaggio

Le persone artistiche hanno spesso difficoltà con il linguaggio e allo stesso tempo hanno difficoltà con le relazioni sociali. Gli scienziati dicono ora che questa non è una coincidenza. Ci sono prove sempre maggiori che il linguaggio dipende sia da quei circuiti del cervello che ci aiutano a rimanere ad un cocktail party sia da quelli che servono a coniugare i verbi. Una delle persone che crede di più in questa affermazione è Temple Grandin. Lei insegna scienze veterinarie alla Colorado State University e ha scritto diversi best-seller. Ed è autistica. La Grandin dice che lei ha speso la maggior parte della sua vita per raggiungere il punto in cui si trova adesso, dove riesce a parlare con gli altri sembrando naturale. Lei dice che le difficoltà che ha avuto ad imparare il linguaggio sono state causate dal fatto che le mancano le abilità sociali che hanno la maggior parte delle persone. Temple Grandin ha iniziato a parlare a 3 anni e mezzo. Le sue prime parole si riferivano a cose, non a persone. “Indicavo qualcosa che volevo, per esempio una caramella o qualcos’altro e dicevo “lì””, dice la Grandin. Non usava il linguaggio per chiamare i suoi genitori o parlare con gli altri bambini, come fanno la maggior parte dei piccoli, perché lei non aveva la stessa motivazione per parlare.

Uno strumento per l’informazione o per l’attenzione?

Quando Temple Grandin finalmente ha iniziato a interessarsi alle parole, è stato perché le fornivano un modo per avere informazioni, non attenzione.

Quando ero in terza elementare, avevo problemi nella lettura, per cui mia madre mi ha insegnato a leggere”, racconta. Questo le ha aperto un mondo di “cose così interessanti”, ricorda: “Di solito prendevo l’enciclopedia tascabile e la leggevo”.

Ma l’enciclopedia le insegnava poco su come usare il linguaggio per farsi degli amici. Anche quando è arrivata alla scuola superiore, chiacchierare con gli altri o fare pettegolezzi non significavano niente per lei. Temple Grandin dice che questo ha reso i suoi anni dell’adolescenza la parte peggiore della sua vita. “Gli altri ragazzi e ragazze mi prendevano in giro, mi chiamavano registratore, perché quando parlavo sembrava usassi sempre le stesse frasi”. E inoltre lei continuava a parlare, senza dare alle altre persone la possibilità di rispondere. La Grandin e altre persone con autismo non hanno problemi con la meccanica del linguaggio, dice il dott. V.S. Ramachandran, un neuroscienziato dell’Università della California, San Diego. Ma loro non capiscono come procedano la maggior parte delle conversazioni. “Questo è uno dei contrassegni dell’autismo”, dice questo dottore, “la difficoltà di interazione sociale si manifesta sia nella lingua parlata che nella mancanza di empatia. Un modo di descriverlo sarebbe l’abilità di capire le menti degli altri.”

Il ruolo della lettura della mente

Ramachandran dice che è difficile usare il linguaggio se non avete idea di cosa l’altro pensi e di come l’altro si senta. Questo può sembrare ovvio, ma nel passato i ricercatori hanno trattato il linguaggio come se fosse principalmente un sistema di regole. Loro pensavano che le persone parlassero perché il cervello umano arrivava già predisposto con una “grammatica universale”. Ora un numero crescente di ricercatori, tra cui Ramachandran, sono convinti che gli aspetti sociali ed emozionali del linguaggio siano altrettanto importanti delle regole per mettere insieme le parole.

I neuroni emozionali

Ramachandran dice che una delle ragioni del nuovo pensiero è una nuova comprensione del cervello umano. Afferma che ora è diventato chiaro che i cervelli dei neonati sono programmati per imitare. “Se fai una linguaccia ad un neonato, molto spesso il neonato tira fuori anche lui la lingua”, dice.

In modo simile, i bambini piccoli sorridono di risposta e spesso emettono suoni quando qualcuno parla loro. Alcuni anni fa gli scienziati hanno trovato una risposta biologica a questo fenomeno: ci sono cellule cerebrali specializzate, chiamati neuroni specchio. Questi neuroni si attivano quando voi fate cose come tirare fuori la lingua. E si attivano anche quando guardate qualcuno che tira fuori la lingua. I neuroni specchio possono riflettere emozioni oltre che azioni fisiche. Gli esperimenti hanno dimostrato che le stesse cellule che si attivano quando sentiamo dolore si attivano anche quando vediamo un’altra persona provare dolore. Ma le persone con autismo sembrano mancare di neuroni specchio, o i loro non funzionano in modo corretto. Questo può essere il perché hanno problemi nel mettersi nei panni degli altri. E Ramachandran dichiara che senza questa abilità, tante cose che si possono fare con il linguaggio spariscono. “Voi dovete sempre stare attenti agli effetti che le vostre parole possono avere sugli altri”, dice. Altrimenti come si possono usare le parole per manipolare gli altri?

Capire il linguaggio non verbale

Temple Grandin ha imparato a compensare la sua difficoltà. All’inizio della sua carriera, preferiva parlare alle persone al telefono piuttosto che di persona. In questo modo non perdeva eventuali messaggi visibili con il contatto oculare o il linguaggio del corpo. Ma anche al telefono le persone potevano dire cose che non pensavano. La frase “Sto bene” a volte significa proprio l’opposto. Quindi la Grandin ha imparato ad ascoltare molto attentamente il tono di voce di una persona. “Quando avevo un cliente che pensavo potesse essere arrabbiato con me, lo chiamavo solo per ascoltare bene la sua voce”, dice la Grandin. “Se sentivo un certo tono lamentoso allora capivo che ce l’aveva ancora con me”. Con il tempo Temple Grandin ha sviluppato un vero e proprio catalogo di segnali che usa per capire cosa stanno pensando le persone. Controlla se durante un suo intervento c’è qualcuno che tamburella le dita, o se la guardano durante una conversazione, o se qualcuno incrocia le braccia durante una discussione – sono tutte comunicazioni emozionali che noi registriamo automaticamente. “Continuo sempre ad imparare” dice Grandin. “Le persone chiedono un unico intervento magico, ma non esiste. Continuo ad imparare ogni giorno come penso e sento in modo differente. Tutto passa attraverso la logica, prove ed errori, l’intelletto”. L’intelletto la porta comunque solo fino ad un certo punto. La Grandin dice che ha ancora problema con alcuni tipi di conversazione. “Un paio di anni fa sono andata a cena con alcuni venditori, e queste persone erano totalmente e assolutamente sociali”, racconta. “Hanno parlato per tre ore di sport, ma senza contenuti informativi. Erano solo storielle divertenti sul colore delle medicine o sul colore delle differenti mascotte delle squadre. Per me è stato noiosissimo”.

La motivazione sociali del linguaggio

I venditori stavano usando il linguaggio come un modo per legarsi tra loro, non per scambiarsi informazioni. Gli scienziati dicono che questo tipo di comportamento può spiegare come gli umani abbiano sviluppato il linguaggio. Legarsi tra pari è qualcosa che fa la maggior parte degli animali. Per esempio, le scimmie si legano pettinandosi l’una con l’altra. E una teoria dice che i primi umani hanno iniziato ad integrare questo pettinarsi con gesti e suoni affettuosi che hanno portato al linguaggio primitivo. Ramachandran dice che ci sono alcune lacune in questa ipotesi, per esempio come abbiano fatto le persone ad evolversi dai grugniti alla grammatica. “La parte difficile è cercare di superare la nozione che l’empatia emozionale ti dia semplicemente la motivazione, una ragione per parlare con qualcuno contro un un ruolo fondamentale nella nascita del linguaggio”, dichiara. Ramachandran sospetta che sia il secondo ad essere la parte vera, perché l’empatia permette alle persone di capire l’intenzione che si nasconde in un’azione o in una frase. Per esempio, dice, se vediamo qualcuno che cerca di prendere una nocciolina, l’empatia è ciò che ci aiuta a decidere se quella persona vuole mangiarla o vuole tirarcela. E quando sentiamo una persona usare una determinata frase, è l’empatia che ci fa capire se sta parlando in senso letterale o figurato. Ramachandran dice che le persone che mancano di empatia non riescono neanche a capire le intenzioni degli altri, sia fisiche che linguistiche. “Non soltanto hanno problemi nel capire un’azione come cercare di prendere una nocciolina”, dichiara, “ma anche una metafora come “volere la luna”.”

Temple Grandin non usa metafore molto spesso, anche se ha masterizzato i meccanismi del linguaggio. La Grandin dice che non capirà mai completamente gli aspetti sociali del linguaggio, comprese le intenzioni degli altri. E questo significa che il linguaggio per lei sarà sempre una traduzione di ciò che gli altri stanno cercando di dire.

Prodotto da Anna Vigran di NPR

 

Dal sito della National Public Radio – notizia del 9 luglio 2006 (tratta dalla weekend edition).

http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=5503688

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