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Estratto da RDI Book

Insegnare a comunicare ai bambini con ASD

Una delle mie preoccupazioni è l’importanza che viene data allo sviluppo di un vasto repertorio di linguaggio memorizzato, quasi privo di ragionamento, visto come un passo importante nell’insegnamento della comunicazione nei bambini con ASD. Capisco che quando ci si confronta con un bambino che non comunica in nessuna maniera, si abbia il desiderio di fornirgli un mezzo per esprimere le proprie necessità e rispondere agli altri in una maniera di base. Spesso è proprio necessario costruire un piccolo repertorio di comunicazione strumentale funzionale. Però vedo spesso che ciò che di solito inizia come un modo di far fronte ad un bisogno funzionale di base, spesso si evolve in una ossessione, da parte di genitori e professionisti, per aumentare la lunghezza delle frasi e il vocabolario, cosa che può continuare per anni e dominare la comprensione del bambino della comunicazione.

Focalizzarsi sul linguaggio senza prima formare i processi neuronali integrati che si hanno nei bambini neurotipici, può eliminare le paure disperate dei genitori che il loro bambino non comunicherà mai e dare al bambino un qualche modo per esprimere i propri bisogni immediate, ma da un punto di vista “a lungo termine” e specialmente a livello neuronale, può produrre un danno incalcolabile. Come detto nella sezione precedente, la comunicazione neurotipica si basa su una sofisticata integrazione neuronale laterale per svilupparsi in modo integrato e multicanale. Inoltre, richiede integrazione verticale dall’alto al basso attraverso una serie sofisticata di algoritmi filtranti che determinano rapidamente il significato contestuale e forniscono condivisione di esperienze intersoggettiva. Quando i bambini neuro tipici iniziano ad usare il linguaggio, è solo uno strumento in più, anche se estremamente potente, che si inserisce in un processo neuronale già molto integrato. Nello sviluppo tipico il linguaggio, sin dall’inizio, è pieno di significato, attraverso l’integrazione con significato a molti canali, e attraverso stretti collegamenti tra i centri corticali di elaborazione del linguaggio e le connessioni alla corteccia prefrontale, sistema limbico e ippocampo.

Quando il linguaggio non integrato diventa l’unico modo in cui la comunicazione arriva al cervello, noi spargiamo i semi di un disastro futuro. Quando, anno dopo anno, senza avere nessuna delle basi neuronali tipiche, rinforziamo deliberatamente questa elaborazione neuronale ipo-connessa, potremmo distruggere il potenziale del bambino per un successivo sviluppo di una comunicazione ricca di significato.

Costruire ponti fragili e incerti

La comunicazione funziona per coloro che la fanno funzionare.—John Powell

La bellezza della comunicazione umana è che ci scopriamo l’uno con l’altro e scopriamo noi stessi mentre comunichiamo. La comunicazione umana è sempre in una situazione di emergenza. E’ un’esperienza proto tipica, essere improvvisamente sorpresi durante una conversazione ed esclamare: “Oh, non pensavo che ti sentissi così!”. Se sapeste già da prima cosa il vostro partner starebbe per dire, non ci sarebbe ragione di comunicare.

Le conversazioni richiedono che si abbia un forte desiderio di condividere esperienze. Se non volete sapere niente delle azioni, emozioni, percezioni, idee, sentimenti, opinioni, preferenze o credenze della persona con cui state, non avrete mai una vera conversazione, non importa quanto linguaggio conosciate.

Se togliete l’imprevedibile e lo sconosciuto dalla condivisione di esperienze ed enfatizzate la prevedibilità, presto tutto sembrerà una parodia. Immaginatevi voi e un vostro amico a pranzo nel vostro ristorante preferito. Vi accorgete dell’eccellente qualità della vostra conversazione e dite “Credo che questa sia stata la migliore conversazione che abbiamo mai avuto”. Il vostro amico è d’accordo e decidete di rincontrarvi nello stesso posto e alla stessa ora la settimana seguente. Ora andiamo all’appuntamento successivo. Dopo esservi seduti comodamente, il vostro amico vi dice “Ho una fantastica proposta per te.” All’inizio lo guardate pensando a che tipo di sorpresa possa avere per voi. Poi però rimanete a bocca aperta quando vi dice “Senza dirtelo, mi sono preso la libertà di registrar tutta la nostra conversazione, la scorsa settimana. Visto che eravamo entrambi d’accordo sul fatto che fosse la conversazione più eccezionale mai avuta da un po’ di tempo a questa parte, ho pensato che piuttosto che rischiare di non averne un’altra dello stesso livello di nuovo questa settimana, potremmo riascoltare quella della scorsa.”

Anche se la condivisione di esperienze richiede che le parti coinvolte lavorino duramente per mantenere la coerenza, raggiungere una comprensione reciproca è solo uno degli obiettivi. Se osservate la vera comunicazione umana, noterete sicuramente che ogni volta che raggiungiamo temporaneamente uno stato di presunta comprensione, sembriamo inserire nuovamente un po’ di imprevedibilità nella conversazione, in modo da rompere la nostra fragile unità. E dopo riprendiamo a costruire i nostri ponti comunicativi di nuovo.

La comunicazione umana gira attorno a momenti in cui non posso completamente predire cosa starete per dire, come vi sentirete, o se raggiungeremo un punto comune. Ma invece di sentirci minacciati o disturbati dalla nostra mancanza di previsione, rimaniamo curiosi e piacevolmente intrigati mentre aspettiamo di vedere cosa emerge dal nostro incontro. Questi momenti di incertezza produttiva sono elementi essenziali dei nostri incontri comunicativi. Funzionano in una dialettica senza fine resa più interessante da momenti di unione e consenso.

 La comunicazione è sempre un “work in progress”

La comunicazione umana è rafforzata dal desiderio di avventurarsi in sicurezza nello spazio sconosciuto che esiste tra le nostre menti. Vogliamo essere sorpresi, ma non troppo. Vogliamo sentire che il nostro partner è veramente interessato a quello che abbiamo da dire e vogliamo lasciare un incontro comunicativo avendo creato qualcosa di nuovo e unico, ma desideriamo anche raggiungere un consenso con una profonda connessione emozionale. Il brillante psicologo evoluzionista Alan Fogel usa un gioco di parole con la parola “informazione” per descrivere la qualità incerta della comunicazione umana, dividendola nei suoi due componenti in e formazione. Questo ci ricorda che nella comunicazione umana il nostro significato è sempre nel processo di co-creazione dei partecipanti.

La comunicazione umana è piena di incomprensioni, che chiamiamo interruzioni di comunicazione. I bambini neurotipici imparano presto a diventare molto bravi nel riparare queste interruzioni, mentre i bambini con disturbi dello spettro autistico di solito non li riconoscono. Sfortunatamente, la nostra risposta alla loro “cecità comunicativa” è spesso quella di rimanere in un modello strumentale dove le interruzioni sono relativamente rare. Il rovescio della medaglia è che, anche se non ci sono molte incomprensioni, il bambino però no impara neanche la vera natura della comunicazione. Si perde l’esperienza di riuscire a farcela, nonostante le difficoltà, e non diventa mai bravo nel gestirle.

Scimpanzè e tribù

Il dott. Michael Tomasello lavora al Max Planck Institute in Germania, dove per diversi anni ha studiato la comunicazione comparativa tra primati, specialmente confrontando le abilità umane e degli scimpanzé. Ha trovato un metodo eccellente per determinare cosa rende la nostra comunicazione unicamente umana. Gli scimpanzé non hanno non hanno le nostre abilità vocali, per cui non possono emettere suoni vocali, ma usando i segni possono sviluppare un buon vocabolario, mettere insieme frasi utili, fare richieste, porre domande e rispondere a domande.

Però, non importa quanto a lungo Tomasello insegni loro – e indubbiamente questi sono gli scimpanzé più capaci al mondo da un punto di vista linguistico – non condividono esperienze per collaborare con altri come fanno gli uomini. Non cercano di imparare le esperienze soggettive di un umano o di un altro scimpanzé e integrarle con le proprie. Hanno un vocabolario adeguato e struttura nella frase, ma non hanno alcun concetto di come o perché qualcuno abbia un proprio punto di vista, ricerchi il punto di vista dell’altro e lavori per fonderli insieme.

Tomasello ritiene che la comunicazione di condivisione di emozioni tipica umana si è evoluta per darci i mezzi per formare obiettivi condivisi e collaborare, un’abilità eccezionale di sopravvivenza. Per massimizzare il nostro potenziale, abbiamo imparato a gestire in modo produttivo questa dialettica esclusivamente umana di incertezza e consenso.

Ho una trama che rivedo nella mia mente per cercare di capire come la condivisione di esperienze possa essersi sviluppata all’inizio. Nel mio scenario, una tribù di cacciatori preistorici ha imparato a dividere le loro azioni e massimizzare il loro potenziale per ottenere informazioni fondamentali. Nella mia storia, il capo tribù, che deve essere stato un genio per quel periodo, manda tre membri della tribù a controllare le aree circostanti per avere informazioni sul tipo di terreno, potenziali pericoli, fonti di cibo e acqua e altre tribù. Questa idea incredibile “Non dobbiamo andare tutti insieme per vedere cosa c’è. Possiamo suddividerci il lavoro e ottenere informazioni in modo molto più veloce”, anche se è stata colpo di genio, ha creato enormi problemi che dovevano essere risolti per far sì che il piano funzionasse.

Il problema principale sorge quando inevitabilmente questi esploratori ritornano con osservazioni e prospettive differenti, portando ad uno stato di incertezza nella tribù. A questo punto, la tribù ha bisogno di trovare modi per integrare queste prospettive uniche in una decisione approvata consensualmente che possa accrescere il potenziale di sopravvivenza della tribù e la sua soddisfazione.

La diversità e la soggettività di queste informazioni avrebbero portato inevitabilmente a molte interpretazioni differenti di significato e valore, e causato quindi conflitti sulle decisioni della tribù. Il significato delle informazione deve essere scelto in qualche modo e bisogna raggiungere un consenso nella tribù, un compromesso che, letteralmente, non “arruffi tante penne”, in modo da poter prendere decisioni produttive e preservare l’unità tribale.

Come ipotetico capo tribù preistorico di una tribù estremamente affamata, ho mandato tre membri a trovare cibo, uno nella foresta, il secondo al fiume e il terzo nella savana. Al ritorno, il primo esploratore dice “Ci sono alcuni frutti di guava non maturi nella foresta. So che odiamo i frutti di guava, soprattutto se non sono maturi, ma almeno sono del cibo.” Il secondo esploratore dice “Penso di aver trovato tracce di cervo vicino al fiume. So che tutti noi amiamo la carne di cervo, ma non sono sicuro che le tracce siano fresche.” Il terzo riporta “Non c’è un gran buon odore nella direzione in cui sono andato, ma credo di aver sentito l’odore di alcune verdure buone. D’altra parte recentemente ho avuto il raffreddore e non riesco a sentire bene gli odori delle cose.”

Alla fine, secondo Tomasello, la nostra tribù ha imparato a prendere queste informazioni diverse e soggettive e a metterle insieme in qualche modo che fosse adatto al gruppo. Come capo, con l’aiuto di altre persone sagge della tribù, posso determinare quanto mi fido di ciascuna relazione. Posso considerare la mia storia con altre persone che mi hanno dato informazioni, ed anche i loro modi singoli di comunicare. Per esempio, mi ricordo che l’esploratore numero due, quello che ha trovato le tracce di cervo, tende a sottostimare la sua bravura nel leggere le tracce. Se lui dice di non essere sicuro che le tracce siano fresche, c’è una buona probabilità che lo siano. D’altra parte, dobbiamo decidere se siamo così affamati che poter contare su frutti di guava non maturi ma sicuri superi il desiderio di qualcosa di meno sicuro come la carne di cervo. Come capo posso determinare quale sia il bene della tribù, ma non rimarrei capo a lungo se le mie azioni non corrispondessero abbastanza ai bisogni e ai desideri dei membri della tribù. Probabilmente cercherei l’opinione di persone influenti della tribù in modo da essere sicuro che le mie decisioni siano sostenute a sufficienza. Questa è solo la punta dell’iceberg dei tipi di comunicazione collaborati che possono avvenire. Secondo Tomasello, gli umani potrebbero essere sopravvissuti ed essersi evoluti come specie perché sono diventati bravi nel condurre questo tipo di elaborazione complessa tra comunicazione e collaborazione.

Come nel nostro precedente esempio della tribù, la comunicazione per condividere esperienze è qualcosa tra il processo di integrazione e il punto finale. La condivisione di esperienze collaborativa ha alcune delle caratteristiche superficiali della sua controparte strumentale. Però questo è solo illusorio. In realtà, quando collaboriamo, siamo coinvolti nel determinare un obiettivo comune, lavoriamo insieme in modo sincronizzato per raggiungere il nostro obiettivo, mentre manteniamo una relazione costante con i nostri partner collaborativi. Dobbiamo raggiungere un consenso sul nostro scopo. Dobbiamo negoziare i nostri ruoli. Dobbiamo sincronizzare le nostre azioni. Dobbiamo sviluppare e continuare ad avere fiducia l’uno nell’altro. Dobbiamo avere sufficiente esperienza per determinare il contesto in cui interpretare la comunicazione l’uno dell’altro.

Se la nostra comunicazione sembra estremamente strumentale ai miei collaboratori, se sembra che i memrbi della tribù siano solo un mezzo per raggiungere il mio scopo finale, o se non sono focalizzato sufficientemente sugli obiettivi del gruppo, allora potrebbero scegliere di non comunicare con me. D’altra parte, nel mio esempio della tribù, potrebbero risolvere il problema cucinando me per cena. Ogni volta che siamo coinvolti in una collaborazione, siamo coinvolti nel procedimento complesso di trovare un obiettivo congiunto, bilanciando le nostre azioni verso questo obiettivo e allo stesso tempo gestendo un processo complesso di relazione continua.

Domande di riflessione:

1.Quale è lo scopo principale della comunicazione umana?

2. Quali sono i vantaggi evolutivi della comunicazione umana?

3. In cosa differisce la comunicazione umana da quella delle altre specie?

4. Qual è il ruolo dei canali non verbali di comunicazione?

5. Cosa succede agli adulti che hanno un infarto e perdono il linguaggio? Possono ancora comunicare?

6.I bambini ASD non verbali sono veramente “non verbali”?

7. Cosa succede se togliete il pensiero e la riflessione dalla conversazione?

8. Potete immaginare una conversazione che non comprenda il desiderio di creare ponti tra le menti? Cosa ci sarebbe ancora da parlare?

 Estratto dal Capitolo 3, Comunicazione dinamica

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