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Cos'è l'autismo 2

L’autismo è una malattia del sistema nervoso centrale di origine sconosciuta, che si manifesta nei primi tre anni di vita con un livello di gravità molto variabile. Si stima che colpisca dai 2 ai 10 soggetti ogni 10000 persone, soprattutto di sesso maschile.

Questa malattia, o meglio, questa sindrome, si può manifestare in modo molto diverso, ma la caratteristica di base è la difficoltà delle persone colpite a mantenere interazioni sociali. I soggetti autistici compiono gesti ripetitivi e insoliti, e possono essere anche molto aggressivi verso se stessi o verso gli altri. Spesso non rispondono se chiamati per nome, evitano lo sguardo altrui e appaiono del tutto inconsapevoli sia dei propri sentimenti, sia dell’impatto negativo del proprio comportamento sulle altre persone. Questi disturbi di natura sociale portano inevitabilmente allo sviluppo di deficit di comprensione, di espressione verbale, di attenzione, di memoria, di organizzazione, di risposta agli stimoli sensoriali, di generalizzazione delle informazioni. Per contro, alcuni autistici mostrano delle abilità particolari in determinati settori di interesse, oppure possono avere spiccate capacità di memoria meccanica (come racconta ad esempio il film “Rain man”) o di elaborazione visiva.

Sebbene non esista una vera e propria cura contro l’autismo, è importante diagnosticarlo il più precocemente possibile, per intervenire con terapie educativo-comportamentali che aiutino il paziente a mantenere il contatto con la società e ad acquistare un certo grado di autonomia. Esistono diversi test per mettere in luce gli eventuali sintomi di questa malattia.

Il primo consiste nel valutare quelle che sono le tappe fondamentali della crescita, in particolare se il bimbo si esprime con versi o gesti intorno ai 12 mesi, se pronuncia almeno una parola entro i 16 mesi, se riesce a costruire una frase di almeno due parole intorno ai due anni. Una perdita di qualche abilità linguistica o sociale in qualunque momento della crescita deve essere un campanello di allarme. In casi sospetti, il bambino viene sottoposto a test che consistono in giochi di simulazione di alcune situazioni per osservare le sue reazioni. Durante la visita, il pediatra in genere fa una serie di domande ai genitori sul comportamento del bambino, per esempio se gli piace essere dondolato o fatto saltare sulle ginocchia, se si interessa agli altri bambini, se ogni tanto usa il dito per indicare, chiedere o mostrare interesse per qualcosa. Quando invece si rivolge al bambino, verifica se lo fissa mai negli occhi e se si riesce a catturarne l’attenzione. Altri semplici test sono, per esempio, quanti cubi riesce a impilare di quelli che gli vengono messi a disposizione, oppure se riesce a guardare in faccia l’interlocutore mentre risponde a una sua domanda.

Esistono poi tutta una serie di elenchi, linee guida e indicazioni su quelli che possono essere segni e sintomi della malattia: in genere, la diagnosi viene fatta quando coesistono un certo numero di questi fattori, di intensità che varia da individuo a individuo. Per esempio, i soggetti con autismo mostrano spesso difficoltà a stare con gli altri bambini, ridono in modo inappropriato, non hanno una reale paura dei pericoli, esprimono i propri bisogno con difficoltà.

Oltre a evitare il contatto visivo con gli altri, possono passare ore e ore a fare giochi bizzarri ripetuti nel tempo, ripetono parole o frasi al posto del linguaggio normale e, in genere, non ricambiano le coccole degli adulti.

La molteplicità dei sintomi possibili rende molto difficoltoso formulare la diagnosi. Spesso l’autismo è associato ad altre malattie psichiatriche (disturbi dell’umore, schizofrenia, disturbi ossessivo-compulsivi), a malattie genetiche (fenilchetonuria, sclerosi tuberosa, sindrome dell’X-fragile), ma anche a infezioni come la rosolia o a traumi precoci del sistema nervoso centrale.

Un filone molto interessante della ricerca sull’autismo è quello neurobiologico, che mira a individuare eventuali anomalie strutturali o funzionali, a livello per esempio della trasmissione nervosa. In questo modo si potrebbero non soltanto sviluppare test diagnostici di tipo molecolare che potrebbero affiancare quelli comportamentali, ma anche terapie mirate. Allo stato attuale, però, i dati non sono affatto conclusivi. Uno dei limiti principali è la difficoltà di selezionare gruppi di bambini autistici omogenei.

 Da: Salute – Dizionario medico, allegato al Corriere della Sera, 2005

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