Stampa

Neuroni specchio e autismo

Negli ultimi anni sono stati documentati vari deficit nel funzionamento cognitivo dei soggetti con autismo, ma questi forniscono spiegazioni solo parziali per questo disturbo. Noi ci focalizziamo invece su un disturbo imitativo che comprende difficoltà sia nel copiare azioni che nell'inibire imitazioni più stereotipate come l'ecolalia. Una possibile spiegazione di base neurologica di questo disturbo può essere trovata in una classe di neuroni recentemente scoperta nella corteccia frontale, i “neuroni specchio” (Mns). Questi neuroni mostrano di attivarsi in relazione sia a specifiche azioni eseguite dal soggetto, sia quando riconoscono azioni eseguite da altri, fornendo così un potenziale ponte tra le menti. Il sistema MN esiste nei primati senza abilità imitative e di “teoria della mente” (teoria della mente = capacità dell’individuo di costituirsi una rappresentazione adeguata dei processi di pensiero propri e dell’Altro significante, vedere anche http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_della_mente - n.d.t.) e secondo noi, per fare in modo che venga utilizzato per eseguire funzioni cognitive sociali, i sofisticati sistemi corticali neuronali si sono evoluti in modo che la funzione dei MN sia un elemento chiave. Problemi nel primo sviluppo dei sistemi di MN probabilmente hanno come conseguenza una cascata di difficoltà evolutive caratterizzate dalla sindrome clinica dell'autismo.

 

I disturbi dello spettro autistico sono stati sempre più riconosciuti come una causa importante di disabilità sociale e sono stati oggetto di un serie di ricerche nell'ultima decade. Qui suggeriamo che paragonando alcune di queste scoperte psicologiche con le recenti scoperte in neurobiologia, potremmo avere una prospettiva di un nuovo e potenzialmente importante modello sia del funzionamento sociale precoce che dei disturbi di questo funzionamento che sono associati con l'autismo.

I disturbi dello spettro autistico sono caratterizzati da difficoltà nell'interazione sociale, abilità immaginative e modelli di comportamento ripetitivi e restrittivi. Nei bambini con autismo e non con la sindrome di Asperger, il disturbo ha inizio prima dell'età dei tre anni ed è associato a sviluppo del linguaggio ritardato e anormale. La condizione è eterogenea, sia rispetto alla causa che al quadro clinico. Può essere associata ad altri disturbi come l'epilessia, il ritardo mentale e altre varie patologie neurologiche. E' anche provato che l'autismo è parte di un più vasto fenotipo e spesso nei campioni di soggetti sottoposti a sondaggi si ritrovano sintomi sub-sindromici. Pertanto può essere pensato come un disturbo dimensionale piuttosto che di categoria. La distinzione tra autismo e sindrome di Asperger è anche oggetto di diverse opinioni. Happe conclude che per la maggior parte dei ricercatori “la sindrome di Asperger è un'etichetta per gli individui autistici ad alto funzionamento”. Questa distinzione è stata supportata recentemente in una analisi cluster da Prior e al. Forse a causa di questo quadro clinico così diverso e complesso, non è stato ancora identificato un meccanismo comune sottostante. E' chiaro, comunque, che l'autismo è un disturbo evolutivo caratterizzato da specifici deficit nel corso dello sviluppo.

Baron-Cohen et al. hanno dimostrato che i bambini con autismo di solito hanno difficoltà specialmente nel capire ciò che gli altri credono e suggeriscono che essi manchino di “teoria della mente” (ToM) necessaria per passare tali test. Questa dichiarazione è stata sinora supportata da una serie di ricerche sperimentali e ha portato alcuni a discutere sul fatto che alla base dell'autismo ci sia un deficit o un ritardo nella ToM. Però un deficit metarappresentativo della ToM sembra non essere una spiegazione primaria soddisfacente per l'autismo. Innanzi tutto, ToM come viene testata da Baron-Cohen et al. non si sviluppa bene nei bambini normali fino a dopo il quarto anno di età, eppure i disturbi autistici si manifestano prima. Questo ha portato i ricercatori attratti dalla spiegazione sulla Tom dell'autismo ad una ricerca sui precursori della ToM, che potrebbe essere visibile nei disturbi autistici precoci. I candidati per questi precursori possono comprendere gioco simbolico, e una capacità nell'essere coinvolti in attenzione congiunta con altri individui. In secondo luogo, i medici hanno argomentato che deficit sociali precoci sono spesso più vasti di quanto implicato ponendo attenzione solo alla teoria della mente; Hobson, per esempio, ha dichiarato che il deficit primario può essere descritto meglio come socio-affettivo, caratterizzato da una mancanza di coinvolgimento empatico ed emozionale con gli altri. Il terzo ed ultimo problema è che l'autismo è spesso caratterizzato da altri problemi sociali e non sociali che sembrano mal spiegati da una deficit primario della teoria della mente. Questo comprende comportamenti ripetitivi e stereotipati (compresi comportamenti copiati), desiderio ossessivo per le stesse cose, sviluppo del linguaggio ritardato o deviato (compresa l'ecolalia) e difficoltà nel percepire o pianificare ad alti livelli di organizzazione (“funzione esecutiva”). La sfida nel capire l'autismo, quindi, è di identificare disfunzioni nei meccanismi sottostanti che possono essere alla base di una più vasta gamma di sintomi rispetto soltanto alle teorie sulla Tom o sulle funzione esecutiva, spiegando in questo modo una serie concatenata di sintomi nei disturbi dello spettro autistico. Questa sfida non comprende quindi anche tenere in considerazione quelle caratteristiche che non sono specifiche della condizione, come ritardo globale dello sviluppo, aggressione o disturbi del sonno.

Il ruolo dell'imitazione precoce

La possibilità che deficit nell'imitazione possano essere connessi particolarmente con i più precoci livelli di sviluppo dell'autismo è stata stabilita per prima in modo sistematico da Rogers e Pennigton. Secondo questi autori, l'imitazione potrebbe riempire almeno due sui tre gap lasciati da una spiegazione basata sulla ToM indicata sopra: innanzi tutto, l'imitazione ha caratteristiche che suggeriscono che i meccanismi sottostanti possono essere i precursori (forse i primi che possano essere identificati nell'infanzia) della completa ToM; e secondo, l'imitazione può anche essere fondamentale per gli altri, più vasti tipi di deficit sociali visti nell'autismo. La relazione tra imitazione e il terzo gruppo di deficit (non sociali per lo più) indicato sopra è una di cui discuteremo una volta aver spiegato altre parti del nostro modello. Rogers e Pennigton hanno riscontrato prova empiria dell'esistenza di deficit nell'imitazione nell'autismo, che discuteremo nella sezione successiva. Prima però dobbiamo parlare di alcune basi teoretiche chiave riguardanti un legame tra i meccanismi di imitazione e la teoria della mente che si sviluppa in ritardo. L'imitazione e l'attribuzione di stati mentali hanno alcune fondamentali somiglianze. Entrambe comprendono il passaggio dalla prospettiva di un altro individuo al sè. Quindi, leggendo con attenzione ciò che un altro crede, una persona essenzialmente copia questa credenza nel proprio cervello creando una rappresentazione “di secondo ordine” della rappresentazione primaria dell'altro del mondo (e, ovviamente, non confondendola con le proprie credenze, almeno in un caso normale). Invece, nell'imitazione, uno deve convertire la pianificazione di un'azione che parte dalla prospettiva dell'altro in una propria. Un collegamento più specifico tra imitazione e ToM viene amplificato dl fatto che uno dei due principali modelli di come operi la ToM sia chiamato la teoria di “simulazione”. Il suo rivale è la “teoria della teoria”, che vede il bambino agire in un certo qual modo come un giovane scienziato, osservando modelli di comportamento negli altri, e sviluppando teorie sugli stati mentali per spiegarli e prevederli. La teoria di simulazione, invece, propone che i bambini arrivino a leggere la mente “mettendosi nei panni dell'altro”, e usando le loro stesse menti per simulare i processi mentali che probabilmente funzionano nell'altro. “Agire come se fossi un altro – simulazione – è quindi al livello mentale ... a ciò che è coinvolto al livello ... nell'imitazione. Gli attuali punti di vista comprendono la possibilità che entrambe le teorie, di simulazione e della teoria, funzionino nell'uomo.

Meltzoff e Gopnik hanno rivisto le prove per l'imitazione nelle prime fasi dell'infanzia e hanno proposto che questo potrebbe fornire un inizio chiave per lo sviluppo della ToM. Il nocciolo della loro ipotesi è che la capacità del neonato di tradurre tra il comportamento visto degli altri e ciò che può essere eseguire lo stesso comportamento offre una base fondamentale per riconoscere il collegamento tra stati mentali e azioni. Ci sono quindi ragioni teoretiche sostanziali per considerare l'imitazione come un candidato primario per la costruzione di una ToM. La teoria di Rogers e Pennington era che alla base dell'autismo ci sia una “formazione/coordinazione incorretta di specifiche rappresentazioni sè-altro”, che si manifestano innanzi tutto in una imitazione non corretta, non adeguata, seguita a cascata da difficoltà nello scambio di emozioni attenzione congiunta e gioco simbolico (comprendendo così la vasta gamma di deficit sociali) e ToM. Qual è quindi la prova che l'imitazione è un punto colpito nell'autismo?

Imitazione nell'autismo

La prova di un deficit imitativo nell'autismo è stata rivista in altro luogo. Nessuna di queste ricerche è comprensiva di tutto, ma insieme citano 21 studi sperimentali di competenza imitativa di individui con autismo. Gli studi sono stati eterogenei rispetto all'età mentale testata, il tipo di gruppi di controllo usati e gli stessi test di imitazione, ma soltanto due studi non hanno trovato deficit imitativi nei campioni autistici e forse a causa della semplicità dei compiti, portando quindi ad un effetto “soffitto” (effetto soffitto = quando un test designato alla misurazione di un deficit, ha una concentrazione degli item nei range più bassi; una prestazione normale avrà un punteggio elevato, quindi un effetto soffitto). Smith e Bryson concludono che la letteratura mostra un “risultato consistente secondo cui le persone con autismo non imitano prontamente le azioni degli altri”. Inoltre vale la pena notare la magnitudo del deficit imitativo. Per esempio, Rogers et al hanno notato differenze tra i gruppi di circa 1.5 deviazioni standard tra le medie del gruppo autistico e di quello di controllo. Più recentemente, Hobson e Lee hanno trovato che soltanto 1 su 16 (6%) soggetti imitava lo stile di uno dei loro compiti, paragonato a 12 su 16 (75%) nel gruppo di controllo. Diversi studi hanno dimostrato significative differenze di gruppo con soltanto 10 soggetti per gruppo. La grandezza del deficit quindi può essere grande almeno, se non di più, del deficit nella ToM. Rogers evidenzia inoltre le difficoltà incontrate da chi insegna intensivamente l'imitazione nei bambini piccoli con autismo. Ci si possono aspettare deficit nell'imitazione di elementi “simbolici” (come far finta di lavarsi i denti con uno spazzolino invisibile), visti i criteri diagnostici; quindi possono essere di particolare interesse deficit che riguardano movimenti corporei o gesti base. Questi sono stati dimostrati la prima volta da DeMeyer et al e da allora sono stati replicati in almeno nove studi successivi. Rogers conclude che “tutti gli studi metodologici rigorosi pubblicati finora hanno trovato un deficit specifico dell'autismo nell'imitazione motoria”. La conclusione che il deficit imitativo possa essere operante a tale livello fondamentale è importante per la nostra sintesi con le scoperte neurobiologiche che discuteremo di seguito.

La ragione per le difficoltà nell'imitazione associate con l'autismo rimane poco chiara ma alcuni indizi ci vengono da un esame del tipo di deficit imitativo presente. Innanzi tutto, l'imitazione di gesti senza significato sembra essere più compromessa dell'imitazione di azioni con oggetti. Forse l'uso degli oggetti in alcuni test può offrire un “aiuto”, aiutando a modellare una risposta di abbinamento; d'altra parte, difficoltà nel copiare gesti primari sottolineano la natura più fondamentale del deficit imitativo riferito a prima. Poi, quando si chiede ai bambini con autismo di imitare un'azione non convenzionale con un oggetto comune (per esempio bere da una teiera), è più facile che commettano errori. Questo fornisce di nuovo prova di un deficit imitativo più fondamentale di quanto ci si aspetta sulla base di altre difficoltà conosciute. Terzo ci sono errori alla rovescia: per esempio, copiando l'azione di tenere le mani su con i palmi lontani, afferrando il pollice di una mano con l'altra mano, i soggetti autistici tendono a tenere i loro palmi verso se stessi, ricreando la visione della mano che stanno guardando (e a volte sbagliano anche ad afferrare il pollice) invece di tradurre la prospettiva che l'altro aveva visto. Infine ci sono maggiori differenze di gruppo sulle sequenze di azioni che su singole azioni da imitare. Insieme, questi errori suggeriscono che i deficit possono avvenire nell'abilità di base di creare mappe delle azioni degli altri in un abbinamento imitativo da soli, specialmente se queste azioni sono complesse.

Infine c'è un aspetto curioso dei fenomeni di tipo imitativo in relazione all'autismo, che riguarda i ben conosciuti comportamenti ripetitivi e stereotipati. Questi possono essere copiati da altri, compresi parole e frasi (ecolalia) e alcune volte azioni, che sono poi riprodotte senza tenere in considerazione i loro normali scopi e significati. A prima vista questi fenomeni sembrano contraddittori con la nozione di un deficit imitativo, ma possono invece offrire indizi per una disfunzione neuronale sottostante. Discuteremo di questo in una sezione successiva, in integrazione con i risultati sulla neurobiologia che ora andremo a vedere.

Neurobiologia dell'imitazione

Pazienti con lesioni del lobo frontale sinistro possono mostrare disprassia imitativa. Questi pazienti non sono in grado di ripetere azioni eseguite da altri, nonostante mostrino un adeguato controllo motorio dei loro arti. Inoltre, sono incapaci di ripetere tali gesti su un manichino. Questo è consistente con l'idea che l'imitazione può di norma fare affidamento su una rappresentazione dell'azione ad un livello “sopramodale”, che questi pazienti non hanno; la stessa posizione di lesione impedirà quindi la replica o un gesto, sia su se stessi che su un altro corpo.

Il lavoro a livello neuronale in primati non umani ha iniziato ad indicare i percorsi che possono essere usati per costruire tale rappresentazione dell'azione. Tanti tipi diversi di neuroni specializzati sono stati identificati nel solco temporale superiore (STS) delle scimmie che sono dedicati all'elaborazione visiva delle informazioni riguardanti le azioni di altri. Particolari popolazioni di cellule codificano la postura o i movimenti del viso, arti, o l'intero corpo. Altre classi di neuroni sembrano codificare i movimenti come azioni con scopo e sono sensibili a movimenti della mano e del corpo relativi ad oggetti o scopi del movimento (per esempio, cercare di raggiungere, manipolare o strappare un oggetto). Di particolare rilevanza per il nostro modello è una serie di tali neuroni codificatori di azioni, identificati nella corteccia prefrontale nelle scimmie. Tali neuroni scaricano quando la scimmia esegue un'azione specifica come una presa di precisione, ma anche quando un'azione equivalente (una presa di precisione, in questo esempio) viene eseguita da un individuo che la scimmia sta guardando. Questi sono stati chiamati “neuroni specchio” (Mns). La loro potenziale importanza per l'imitazione è sottolineata da un'altra etichetta: neuroni “scimmia vede, scimmia fa”. L'attività delle cellule dell'area F5, comunque, non porta automaticamente a risposte motorie o all'esecuzione di un'azione, altrimenti guardando azioni eseguite porterebbe a copiarle obbligatoriamente (ecoprassia). L'esecuzione di azioni quando le cellule dell'area F5 sono attivate dalla vista di azioni di altri, può essere inibita da meccanismi operanti in altri punti del percorso motorio e forse coinvolgenti la corteccia orbitofrontale.

Sebbene i neuroni specchio non possano essere studiati direttamente nello stesso modo negli umani, l'esistenza di un sistema con le proprietà dei neuroni specchio è sostenuta da approcci alternativi, come l'uso di stimolazione magnetica transcranica (TMS) della corteccia motoria umana per produrre potenziali elettromiografici nei gruppi di muscoli. L'osservazione di azioni che coinvolgono movimenti distali del dito ma non movimenti prossimali dell'intero braccio, ha abbassato selettivamente la soglia per la TMS per indurre attività elettromiografica nella muscolatura distale. Questo dimostra l'input alla vista di movimenti al sistema neuronale coinvolto nel controllo motorio degli stessi movimenti.

Diversi studi di imaging funzionale hanno notato che la vista di azioni della mano genera attività nelle regioni frontali (corteccia premotoria e area di Broca), che possono essere omologhi dell'area F5 nelle scimmie. In un recente studio fMRI, l'attivazione dell'area di Broca sinistra durante l'osservazione di movimenti del dito diveniva più intensa quando la stessa azione era eseguita in simultanea. Questi studi di immagine rivelano anche attività nella corteccia parietale. Quest'area, insieme forse al solco temporale superiore, mostra anche alcune prove dell'attività dei neuroni specchio.

Il significato funzionale dei neuroni specchio

I neuroni specchio sembrano avere la capacità di comprendere una “rappresentazione sopramodale” dell'azione, funzionano da ponte tra le aree più alte di elaborazione visiva e la corteccia motoria (tra il vedere e il fare). Finora i neuroni specchio sono stati oggetto di ricerca con le azioni della mano, ma sembra probabile che ne siano coinvolti altri con differenti azioni, come espressioni facciali e linguaggio, e forse movimenti dell'occhio e astrazione ad un livello più alto. Però i neuroni specchio sono stati scoperti solo di recente. La loro precisa importanza non è ancora nota, ma alcuni specifici suggerimenti sono particolarmente rilevanti per la nostra discussione.

1. Linguaggio.

Rizzolatti e Arbib hanno suggerito che la parte del cervello della scimmia che contiene i neuroni specchio e che seguiva i movimenti della mano si sia evoluta per servire il linguaggio negli umani con il linguaggio che si costruisce in cima ad una “grammatica prelinguistica di azioni” già esistente nel cervello dei primati. Agendo come ponte tra l'azione percepita e quella eseguita e il linguaggio, il sistema dei neuroni specchio si pensa quindi abbia fornito le basi per l'evoluzione del dialogo. Inoltre se i neuroni specchio elaborano rappresentazioni uditive come fanno di quelle visive, possono essere importanti nel rappresentare la relazione tra parole e chi le dice, come i pronomi personali. Se questo è vero, il sistema dei neuroni specchio può fornire anche basi fondamentali ontogeneticamente, particolarmente riguardanti lo sviluppo degli aspetti pragmatici del linguaggio, e quindi aspetti più complessi del linguaggio. Comunque, gli aspetti pragmatici del linguaggio possono dipendere non solo da un sistema funzionale di neuroni specchio. Mancanza di invariabilità nella struttura fisica dei fonemi dà origine alla teoria motoria della percezione del linguaggio, che suggerisce che noi sentiamo i suoni a secondo di come li produciamo. Se i neuroni specchio sono un collegamento importante tra la produzione e la percezione del discorso – o tra chi invia e chi riceve – allora un sistema di neuroni specchio intatto può essere importante anche per altri livelli di linguaggio.

2. Teoria della mente.

Gallese e Goldman hanno suggerito che è possibile predire e anche “retrodire” lo stato mentale di una persona osservata costruendo i correlati mentali appropriati di un'azione una volta che è “ricostituita” nel sistema dei neuroni specchio dell'osservatore. Loro suggeriscono che l'attivazione dei neuroni specchio può permettere la generazione di un piano esecutivo per eseguire un'azione come quella osservata, in modo che l'osservatore “si metta nei panni mentali” dell'osservato. Notano anche che questo è un processo che richiede un'abilità di inibizione controllata per prevenire esecuzioni concomitanti di un'azione osservata. Sottolineano che tale meccanismo è in linea con il modello di “simulazione” della teoria della mente, che richiede anche che le sequenze di azioni osservate siano rappresentate dall'osservatore “offline” per impedire copiatura automatica, e anche per facilitare una successiva elaborazione di questa informazione sociale di alto livello.

3. Fenomeni intersoggettivi più basilari: contagio emotivo e attenzione congiunta.

Prima di passare a considerare il possibile ruolo dei neuroni specchio nell'autismo, è importante notare che non sembra esserci nessuna ragione di principio per cui i neuroni specchio non possano riferirsi ad una vasta gamma di azioni e agli stati mentali che sono ad esse legati. Per esempio, visto che gli stati emozionali sono strettamente collegati a certe espressioni facciali, l'osservazione di un'emozione facciale può risultare in un'attivazione pre-motoria specchiata (ma principalmente inibita) nell'osservatore e un corrispondente stato mentale “retrodetto”. Tale processo può aiutare a spiegare il fenomeno del contagio emotivo, in cui le persone automaticamente rispecchiano le posture e gli stati d'animo degli altri. Questo sembra particolarmente probabile in vista delle strette connessioni tra neuroni STS, i circuiti dei neuroni specchio e l'amigdala. Infatti c'è prova elettromiografica diretta che gli osservatori adottano attività muscolare facciale congruente con le espressioni osservate anche quando questo processo non è ad un livello evidente. E’ stato proposto che, come la lettura delle emozioni, anche la capacità di attenzione congiunta sia un importante precursore per una completa teoria della mente, in parte sulla base di prove che i deficit in questa capacità sono evidenti precocemente nella vita di individui con autismo, e quindi il loro verificarsi è visto come un segno precoce del disturbo. Qui vogliamo far notare semplicemente che essere in grado di identificare su cosa si pone l'attenzione dell'altro, o essere in grado di considerare come attrarre l'attenzione su ciò a cui noi siamo interessati, è un altro modo di essere in grado di “mettersi nei panni degli altri”. Nell'attenzione congiunta, il punto di attenzione di ogni individuo rispecchia quello dell'altro, aumentando la probabilità che i neuroni specchio possano giocare un ruolo importante nel suo raggiungimento.

4. Imitazione

Nel discutere il possibile ruolo dei neuroni specchio in ognuna delle suddette capacità, sono stati fatti alcuni riferimenti a fenomeni di tipo imitativo (“mettersi nei panni dell’altro”). Si potrebbe pensare che l’ovvio ruolo funzionale dei neuroni specchio starebbe quindi nell’imitazione (nel qual caso gli output dei neuroni specchio non dovrebbero essere inibiti). Però, visto che c’è scarsa prova di imitazione nelle scimmie, Gallese e Goldman hanno suggerito che nelle scimmie in cui sono stati identificati, i neuroni specchio funzionano per facilitare la comprensione sociale degli altri (fino al punto in cui una scimmia “può mettersi nei panni mentali dell’altro, come hanno detto Gallese e Goldman). Non si vuole dire che questo porta ad una teoria della mente (per cui c’è oltretutto scarsa prova nelle scimmie), ma ciononostante può rappresentare il tipo di fondamenta che ha permesso l’evoluzione della teoria della mente negli umani. Comunque, notiamo che c’è maggiore prova nelle scimmie antropomorfe che nelle scimmie, e ovviamente l’imitazione è sia evidente che importante funzionalmente nelle nostre specie. Suggeriamo che l’evoluzione dell’imitazione negli umani probabilmente ha usato un sistema di neuroni specchio esistente, anche se i suoi usi precedenti erano probabilmente di un tipo più generalizzato di comprensione sociale. Come detto prima, fMRI con soggetti umani durante un semplice compito di imitazione ha trovato imitazione nell’area 44 e nella corteccia parietale, suggerendo che il sistema dei neuroni specchio è coinvolto nell’imitazione negli esseri umani. Se Gallese e Goldman hanno ragione circa la funzione dei neuroni specchio nelle scimmie, certe ulteriori capacità si sono dovute evolvere prima che i neuroni specchio potessero supportare funzioni di teoria della mente imitative o più avanzate. Possiamo pensare che questi fattori addizionali riflettano l’aumento di volumi corticali delle grandi scimmie antropomorfe e degli umani e le capacità rappresentative associate con esso; la loro precisa natura è una domanda per la ricerca futura. Per adesso, l’ipotesi fondamentale è che i neuroni specchio forniscano una base chiave per la costruzione di competenze imitative e di lettura della mente. Di conseguenza, se Rogers e Pennigton avevano ragione riguardo il collegamento tra imitazione e teoria della mente, dovremmo aspettarci che i neuroni specchio giochino un ruolo importante nell’intera cascata ontogenetica dall’imitazione precoce ad una elaborata teoria della mente. Questo sarebbe consistente anche con l’ipotesi di Gallese e Goldmann che i neuroni specchio e la teoria della mente siano collegati.

Neuroni specchio e autismo

Queste idee portano direttamente alla nostra ipotesi che una sorta di disfunzione nel sistema dei neuroni specchio possa essere implicato nell’insorgere della costellazione di caratteristiche cliniche che costituiscono la sindrome autistica. L’ipotesi più basilare sarebbe che c’è un errore o una distorsione nello sviluppo del sistema dei neuroni specchio. Questo potrebbe essere dovuto a cause genetiche o di altro tipo endogeno, a condizioni esterne avverse al funzionamento dei neuroni specchio, o ad una qualche interazione tra questi. Tali fattori potrebbero influire su tutti i gruppi di neuroni specchio o essere limitati solo a certi gruppi come quelli nella corteccia parietale. Non necessariamente ci deve essere un errore completo, ci potrebbe essere anche solo un certo grado di ritardo o sviluppo incompleto. Considerando i fattori di cui si è parlato nelle precedenti sezioni, per esempio la disfunzione potrebbe prevenire o interferire con l'imitazione o forse più fondamentalmente, potrebbe portare alla “non corretta formazione o coordinazione di specifiche rappresentazioni del sé e dell'altro” che potrebbero essere alla radice della cascata di problemi autistici. Questo di contro può spiegare il mancato sviluppo di abilità sociali reciproche comprese l'attenzione congiunta, riconoscimento dei gesti e linguaggio (soprattutto gli aspetti semantici pragmatici che Rogers e Pennigton hanno notato essere i più compromessi) (la semantica è lo studio delle parole e del loro significato, mentre la pragmatica è lo studio di come il linguaggio, verbale e non verbale, venga usato per interagire con gli altri nelle situazioni sociali, n.d.t.), così come i problemi nello sviluppo dell'empatia e di una completa ToM.

Questo semplice modello di “disfunzione dei neuroni specchio, disfunzione dell'imitazione” difficilmente spiega l'intera storia, comunque, finora, dobbiamo spiegare anche caratteristiche di comportamento ripetitivo, inflessibile e stereotipato e problemi di linguaggio che sembrano incorporare una parte di imitazione degli altri, in alcuni pazienti con autismo. Vorremmo suggerire che in realtà queste ultime caratteristiche sono una testimonianza di problemi di collegamento tra azione e percezione, che avvengono nell'autismo; sono consistenti con l'ipotesi che nell'autismo, il sistema dei neuroni specchio sia tutto malfunzionante. In questi casi il sistema potrebbe evidenziare una scarsa modulazione. Vi preghiamo di tenere a mente che è stato suggerito che un sistema inibitorio controllato è essenziale per permettere al sistema dei neuroni specchio di funzionare “off-line” per simulare la ToM e quindi funzionare e svilupparsi. Se il danno si estende anche a questi componenti inibitori, allora sicuramente si potrebbero avere strane forme di mimo molto stigmatizzanti.

Autismo, funzioni esecutive e neuroni specchio

Negli ultimi anni è stato dimostrato che le persone autistiche hanno difficoltà nelle funzioni esecutive come la programmazione. Si pensa che funzioni esecutive come l'abilità di pianificare e di spostare l'attenzione siano il prodotto di processi di sviluppo largamente ristretti all'individuo. Ma è anche possibile che il bambino impari qualcosa di queste funzioni dagli altri, forse inizialmente in contesti relativamente concreti, come giocare con i cubi durante l'infanzia, e poi a livelli più alti di astrazione e per strutture temporali più lunghe, come la pianificazione dei pasti. Gli stadi iniziali di tale processo potrebbero corrispondere ad alcuni tipi di imitazione “a livello di programma”. Questo è provato in bambini di tre anni che sono in grado di apprendere, con l'imitazione, programmi gerarchici alternativi per compiere una sequenza di azioni per completare un compito funzionale. Come per i codici dei neuroni specchio sugli oggetti, diretti verso un obiettivo, potrebbero essere elementi chiave in tale processo, aiutando a passare le funzioni esecutive percepite in prassi e poi generalizzandole a situazioni simili. Con uno scarso sviluppo dei neuroni specchio, i pezzi chiave che permettono le funzioni di programmazione da acquisire dalla cultura esterna potrebbero essere non disponibili.

Se i neuroni specchio giocano un ruolo nello sviluppo delle funzioni esecutive come ToM, ci si aspetterebbe di vedere una correlazione tra la resa nei test per ognuna delle due abilità. Questo è stato recentemente dimostrato. Si possono applicare gli stessi principi all'acquisizione di altre funzioni esecutive come l'approccio alla soluzione di problemi e lo spostamento dell'attenzione, che possono essere un problema per i bambini autistici. Ci sono prove a favore di questa proposta da Griffith et al. Loro hanno trovato che a parte i test che richiedono inversione di ruoli, non c'era deficit nelle funzioni esecutive di bambini al di sotto dei 4 anni di età con autismo. Questo suggerisce che i deficit esecutivi non sono primari ma insorgono successivamente su un modello non corretto di sviluppo. Alcune funzioni esecutive compresa l'inibizione e forse la memoria di lavoro visuale, sembrano scarseggiare nell'autismo. Queste potrebbero essere funzioni più difficili da imparare con l'imitazione. I bambini autistici mostrano non soltanto deficit caratteristici nella ToM e nella programmazione, ma anche difficoltà nella ricostruzione di un passato personale. Suddendorf ha proposto che questa capacità esecutiva di staccare o dissociarsi dal proprio stato attuale (metterlo offline, come abbiamo detto) per simulare stati alternativi è alla base sia della “teoria della mente” che del “viaggio temporale” mentale, l'abilità di costruire mentalmente eventi possibili (per es. pianificati) nel futuro e ricostruire eventi personali dal passato. Quindi, in questa opinione, i neuroni specchio potrebbero essere coinvolti attraverso la simulazione e le funzioni esecutive.

Neuroimmagine dei neuroni specchio e “teoria della mente”

Se la teoria della mente e i deficit sociali correlati nell'autismo sono il risultato di un sistema di neuroni specchio che non funziona in modo adeguato, questo dovrebbe essere evidente negli studi di neuroimmagine con compiti rilevanti. La regione dei neuroni specchio è coinvolta nella lettura di emozioni facciali nella popolazione normale. In modo simile, un compito che comprendeva la lettura di espressioni emozionali guardando ad immagini di occhi, ha scoperto che gli individui con autismo mostrano minore coinvolgimento di aree normalmente attivate durante l'interpretazione emozionale, cioè la regione sinistra putativa dei neuroni specchio, il gyrus temporale superiore bilateralmente, l'insula destra e l'amigdala sinistra. Una recente revisione di studi sia di individui neurotipici che di individui con autismo, in cui si cercava di identificare i siti attivi nelle funzioni di teoria della mente, ha trovato che era implicata un'area ben demarcata del gyrus paracingolato, come anche aree della corteccia cingolata anteriore ma non regioni dei neuroni specchio. Il gyrus paracingolato e la corteccia cingolata anteriore sono strettamente collegati e ricevono densa innervazione serotonergica, consistente con la loro resa di una funzione modulatoria e questo spiegherebbe il loro coinvolgimento. Una ragione possibile per il fatto che questi compiti non hanno attivato le regioni dei neuroni specchio può essere collegata ai compiti di controllo che sono stati usati. Visto che questi erano soprattutto basati sull'azione come seguire una storia basata sull'azione, ci si aspettava che avrebbero attivato le regioni dei neuroni specchio tanto quanto un compito di teoria della mente, non tenendo conto quindi della loro apparente rilevanza.

Testare l’ipotesi

Dalla nostra ipotesi seguono diverse previsioni controllabili. Innanzi tutto deficit imitativi dovrebbero apparire nell’autismo, specialmente in studi che avvengono nei primi anni, come nello studio di Charman et al. Particolari aspetti dell’imitazione sembrerebbero essere più colpiti, come quelli dove l’imitazione coinvolge un’attività coordinata tra diversi modi di input sensoriale, differenti gruppi di neuroni che codificano le azioni e trasformazioni visive sé-altro.

Secondo, suggeriamo che l’effetto McGurk, dove il suono percepito è alterato percependo movimenti delle labbra che fanno un suono differente, possa essere il risultato di un funzionamento dei neuroni specchio. In questo caso, prevediamo che in test su gruppi di bambini con autismo, si avranno effetti McGurk non standard.

Una terza previsione può essere collegata al lavoro di Baron-Cohen et al, usando il test di screening CHAT per l’autismo. Questi autori hanno trovato che l’attenzione congiunta a 18 mesi era un punto di screening di previsione per l’autismo (prestando attenzione a fratelli o sorelle di soggetti con autismo). La nostra ipotesi prevede che anche prima, uno screening appropriato dal punto di vista sensoriale per il deficit imitativo possa prevedere una tale situazione.

E quarto, prevediamo che studi di imaging indicheranno che un’attivazione alterata delle regioni putative dei neuroni specchio nel cervello durante compiti di imitazione tentati da soggetti con autismo. In modo simile, studi elettrofisiologici mostreranno un’attività muscolare alterata durante l’osservazione di azioni, sia facciali, vocali o con le mani.

Uno studio recente ha tentato di esaminare l’attività dei neuroni specchio nella sindrome di Asperger. La magnetoencefalografia è stata usata per determinare una diminuzione nell’attività dei 20 Hz che avveniva nella regione dei neuroni specchio durante la stimolazione del nervo mediano mentre i soggetti guardavano un’azione. Lo studio non ha trovato una differenza significativa tra i 5 partecipanti Asperger e un gruppo di controllo. La nostra analisi predice che test più estesi delle persone con autismo riveleranno tale differenza. Visto il campione ridotto e i ridotti effetti che ci si aspettava (l’ipotesi è stata testata in individui più anziani con la forma più lieve del disturbo) il primo studio ha avuto potere minimo e c’era un alto rischio di un tipo 2 di errore. E’ quindi importante che ulteriore lavoro sia esteso a gruppi più grandi con altre caratteristiche.

Discussione conclusiva

La scoperta dei neuroni specchio offre un meccanismo neuronale potenziale per l’imitazione di azioni e per altri aspetti della comprensione sociale degli altri. L’evoluzione di questo sistema potrebbe essere fondamentale per far emergere la proto-cultura e il manovramento Machiavellico nei primati non umani più enfacelizzati, seguiti dall’elaborata ToM e linguaggio degli umani. Nello sviluppo del bambino, i neuroni specchio possono essere gli elementi chiave che facilitano la precoce imitazione di azioni, lo sviluppo del linguaggio, la funzione esecutiva e molti componenti della teoria della mente. Un mancato sviluppo di un sistema dei neuroni specchio intatto e regolato sensorialmente può quindi portare a problemi nello sviluppo di queste importanti capacità umane.

La nostra esplorazione di questa ipotesi mette in evidenza numerosi aspetti della nostra ignoranza. Tra le domande senza risposta ci sono:

  1. Quali altre capacità cognitive e neuronali lavorano insieme ai neuroni specchio per sostenere l’imitazione e le funzioni della teoria della mente?

  2. Come si mettono in relazione i neuroni specchio con altri neuroni che elaborano le informazioni sociali nell’esecuzione di funzioni sociali cognitive?

  3. Quanto sono estese fisicamente le funzioni dei neuroni specchio che sono in relazione con l’autismo? Esistono semplicemente nell’area di Broca o ci sono tali gruppi in posti come la corteccia parietale, il gyrus paracingulato e il solco temporale superiore?

  4. I neuroni specchio hanno funzioni in modalità non visive come suggeriscono rapporti preliminari (C. KEysers, pers. comm.; Baker e Perrett, studi non pubblicati)? Per esempio il suono di un’azione (o un’espressione vocale) attivano gli stessi neuroni di specchio come quelli che si attivano alla vista? Qual è la gamma di azioni di cui si occupano i neuroni specchio?

Nonostante i vari candidati suggeriti nella letteratura, una fonte “prima promotrice” della complessa cascata dei danni che caratterizzano l’autismo finora è stata elusiva. Suggeriamo che un ritardo di sviluppo o distorsione del sistema dei neuroni specchio ad un’età precoce possa essere un tale “primo promotore”. L’eterogeneità della condizione autistica può scontrarsi contro una singola causa, ma le cose comuni della sindrome clinica permettono la possibilità di un meccanismo disfunzionale chiave. Se questo meccanismo è normalmente un precursore per una cascata di effetti su altri sistemi variabili, allora la sua disfunzione è probabile che risulti in un quadro clinico molto variabile. La nostra proposta offre tale meccanismo, insieme con alcune prove preliminari della sua esistenza e ipotesi testabili empiricamente. Se si trova ulteriore supporto empirico, questo potrebbe suggerire nuove importanti vie di strategie riabilitative psicologiche e farmacologiche.

 

References

1. Fombonne, E. The epidemiology of autism: a review. Psychol Medicine. 1999; 29,

769-786

2. Bailey A., Philips W. and Rutter M. Autism: towards an integration of clinical,

genetic, neuropsychological and neurobiological perspectives. J Child Psychol

Psychiatry. 1996; 37: 89-126

3. Cohen D.J. & Volkmar F. Handbook of autism and pervasive developmental

disorders. 2nd Ed. New York: John Wiley & Sons; 1997.

4. Russell J. Autism as an Executive Disorder. Oxford: Oxford University Press; 1997.

5. Baron-Cohen S., Tager-Flusberg H. & Cohen D.J.(Eds). Understanding Other Minds

- perspectives from developmental cognitive neuroscience. 2nd Edn. Oxford: Oxford

University Press; 2000

6. Kanner L. Autistic disturbances of affective contact. Nerv Child. 1943; 2 , 217-250

7. Rutter M. & Bartak L. Causes of infantile autism: Some considerations from recent

research. J Autism Child Schizopr 1971; 1, 20-33.

8. American Psychiatric Association. Diagnostical and Statistical Manual of Mental

Disorders. APA, Washington DC. 1994.

9. Folstein S.E., Santangelo S.L., Gilman S.E., Piven J., Landa R., Lainhart J., Hein J.,

Wzorek M. Predictors of cognitive test patterns in autism families. J Child Psychol

Psychiatry. 1999; 40, 1117-1128

10. Sonuga-Barke E.J. Categorical models of childhood disorder: a conceptual and

empirical analysis. J Child Psychol Psychiatry. 1998; 39, 115-133

11. Happe F. Autism. London: UCL Press; 1994

12. Prior M., Eisenmajer R., Leekham S., Wing L., Gould J., Ong B., Dowe D. Are there

subgroups within the autistic spectrum? A cluster analysis of a group of children with

autistic spectrum disorders. J Child Psychol Psychiatry. 1998; 39, 893-90

 

Justin H G Williams, MRCPsych*

Andrew Whiten PhD., FBA

Thomas Suddendorf, PhD.

David I Perrett, PhD., FRSE

 http://cogprints.org/2613/

Registrati

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Per maggiori informazioni.

  
EU Cookie Directive Module Information